Intervista esclusiva alla nota opinionista televisiva Maria Rita Parsi, psicoterapeuta, saggista, scrittrice, editorialista, specializzata in comportamenti dei bambini.
Potranno avere dei traumi i nostri figli a seguito del Covid 19?
Intervista esclusiva di Puglia Press TV realizzata dal direttore alla nota scrittrice e psicopedagogista, Maria Rita Parsi, volto noto della RAI specializzata in comportamenti dei bambini,
“I bambini potrebbero avere dei traumi a causa del Covid. Ecco come comportarsi”
“Amo la Puglia, adoro Lecce, ma spero di conoscere presto la Valle d’Itria di cui mi hanno detto un gran bene”
L’emergenza sanitaria da Covid-19 tiene ancora il mondo in guardia. In qualche modo però si deve pur andare avanti, con il dovere di resistere, di continuare rispettando regole semplici e chiare. Se le vittime del contagio sono ormai tantissime in Italia e nel mondo, dobbiamo anche considerare chi ne subisce altre conseguenze: fra questi ci sono i bambini, quasi dimenticati per tanti aspetti nei mesi scorsi. Un discorso che però coinvolge l’intero nucleo familiare, senza che nessuno possa delegare o tirarsene fuori.
Degli effetti pedagogici e psicologici dell’emergenza sanitaria causata dalla pandemia ce ne parla Maria Rita Parsi, psicologa, psicoterapeuta, docente, saggista e scrittrice italiana, componente dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, già membro del Comitato ONU sui diritti del fanciullo. Volto televisivo noto al grande pubblico, autorevole firma per numerose testate, è una delle voci autorevoli a livello internazionale per quanto riguarda le politiche educative e i diritti dei minori.
In esclusiva per PugliaPress parla di bambini e adolescenti “ai tempi del Covid”, intervistata dal direttore Antonio Rubino in una intervista andata in onda su Puglia Press TV
Professoressa Parsi, come le famiglie italiane stanno vivendo questo periodo legato al Covid-19?
Stanno vivendo da diversi mesi una particolare situazione che “smaschera” i problemi, slatentizzando quelli che c’erano ma magari non venivano a galla. In pratica le famiglie contenitive che hanno una loro armonia, le famiglie felici e, come direbbe Lev Tolstoj in “Anna Karenina”, “tutte le famiglie felici si somigliano”: queste famiglie generalmente si sono raccolte, si sono aiutate e in molti casi si sono rinsaldate, riscoprendo il valore del dialogo, avendo tempo e modo di stare insieme, fra coniugi, fra genitori e figli. Non tutte le famiglie però sono felici e – sempre per citare Tolstoj – “ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo”: nelle famiglie disfunzionali, dove il conflitto tra i coniugi è estremo, dove c’è la paura di perdere anche il lavoro, dove le donne sono come Atlante (personaggio della mitologia greca che reggeva la Terra sulle proprie spalle, ndr) portando spesso interamente su di sé l’organizzazione della famiglia, la cura dei figli tra lezioni on line e capricci, il lavoro da remoto, il contenimento di mariti insofferenti… in famiglie disfunzionali, dicevo, sono scoppiate grandi conflittualità a causa dell’obbligo di stare insieme per l’intera giornata nel corso di diversi mesi, a mo’ di arresti domiciliari, facendo emergere disfunzionalità e negatività che magari in tante altre occasioni il lavoro e i ritmi quotidiani avevano bloccato o tenuto sopite. C’è quindi da prestare attenzione a segnali chiari e inequivocabili come i maltrattamenti in famiglia e manifestazioni depressive, queste ultime particolarmente in anziani soli, persone che nella quasi totalità dei casi per lungo tempo non hanno potuto vedere i propri nipotini né i propri figli, con incontri rapidi limitati soltanto a motivi di rara e somma urgenza. Gli stessi nipotini in molti casi hanno manifestato dinamiche di colpevolizzazione, arrivando a ritenersi un pericolo per la salute e la sopravvivenza dei cari nonni con affermazioni del tipo “Io posso portare qualcosa che può far male ai miei nonni”. A causa di questa situazione, tanto anomala quanto imprevista, ora ci sono da fare principalmente tre cose: anzitutto evitare di alimentare paure attraverso veri e propri “bollettini di guerra”, trasmessi quotidianamente attraverso i media in modo martellante; alle paure che vanno creandosi fra la gente bisogna reagire con l’informazione, chiara e comprensibile, in modo tale che tutti possano essere consapevoli delle regole essenziali da rispettare per la sicurezza sanitaria; infine bisogna cercare di garantire ai bambini le loro attività sociali essenziali dalla scuola all’incontro con amici e ai giochi, ovviamente con tutte le precauzioni indispensabili per la tutela di se stessi, dei propri compagni, dei docenti e delle rispettive famiglie.
Mi viene in mente il film “La vita è bella” di Roberto Benigni, la cui storia narra di un papà che in un campo di concentramento nazista inventa un gioco per il figlio, perché potesse esorcizzare la paura di quel drammatico momento e superarlo. Lei intravede un’analogia?
Assolutamente sì. Tra l’altro, Direttore, Lei tira fuori – quasi fosse un coniglio dal cappello – uno dei film più belli della storia del cinema riguardanti la tragedia dell’Olocausto, dove un padre per essere tale protegge il figlio, realizzando un rapporto particolarmente bello poiché solitamente sono le madri a essere sempre presenti (a volte anche troppo!) nella vita dei bambini; qui invece è il padre che per tutelare la salute mentale del figlio, mette su un gioco nonostante sia in un campo di concentramento da cui non uscirà, pur essendo riuscito a intrattenere il figlio, facendolo giocare, distraendolo, motivandolo, permettendogli di conservare il sorriso mentre si concretizzavano situazioni aberranti che la storia ci racconta.
Lei è un’esperta della psiche dei bambini. Pensa che potranno portarsi dietro, nella loro vita, una sorta di trauma causato da questo momento?
I traumi derivanti da questo momento dobbiamo elaborarli per poi superarli, quindi dobbiamo mettere in atto dei sostegni alla resilienza che sono fondamentali. Certamente i bambini porteranno con sé segni di questa esperienza, questo non si può evitare; si può però aiutarli. Il modo migliore per trattare i bambini e renderli responsabili, consapevoli, giocare con loro, trasformare questa cosa che subiscono nella capacità di essere protagonisti nella lotta contro questo virus inafferrabile e per ora ancora non arginabile, in attesa di un vaccino. Lavorando con le famiglie, molto spesso mi interesso a rimettere insieme il dialogo familiare, riallacciando i fili utili a mettere in comunicazione le persone quando la comunicazione è disturbata tra i membri di una stessa famiglia. In questo caso, con una buona comunicazione, dobbiamo combattere il “contagio emotivo”, dobbiamo pensare che più ci facciamo “contagiare” dalla situazione più questa ci sfugge di mano. I bambini sono testimoni attivi di tuto questo e dato che in bambini sono in crescita, soprattutto i più piccoli, sono come delle spugne che assorbono tutto quanto succede, partendo dai modelli di comportamento, e sono in una condizione di dipendenza tale da parte dei genitori che si sentono da una parte impotenti e dall’altra moltiplicano la fantasia, l’immaginario, dove la potenza significa poter sconfiggere tutto; l’alternativa è colpevolizzarsi in maniera estrema. L’impotenza genera sentimenti da monitorare poiché quando un bambino vede gli adulti di riferimento agitati, preoccupati, emotivamente “contagiati”, si sente impotente e ciò alimenta ulteriormente la sua paura. In questo momento quindi dobbiamo avere piena contezza di tutti i rischi che il Covid-19 comporta e al contempo si deve avere un atteggiamento resiliente attraverso cui trovare gli strumenti per reagire in tutti i modi, con il pensiero positivo, con il rispetto delle regole, con una grande “alleanza umana” tra tutte le persone, offrendosi mutuo sostegno.
Il Natale che ci attende potrebbe essere insolito e per molti aspetti strano. E’ questo un momento molto speciale per i bambini. Cosa possiamo affinché questo Natale sia “normale” per loro?
Natale è la festa nella famiglia e della famiglia, il momento in cui nasce Gesù e il nucleo familiare si ritrova. Quindi a livello familiare si devono fare e “rinforzare” tutte le cose che per consuetudine e tradizioni si fanno a Natale, pur con attenzione alla sicurezza sanitaria. Io dico che Natale è il momento in cui far valere tutto quello che di buono c’è in una famiglia. Proprio per la valenza sociale e relazionale della festa Natale è necessario prevenire eventuali chiusure (comprese le celebrazioni liturgiche) coordinando bene, dando poche e chiare regole nell’interesse di tutti, secondo il consolidato adagio che recita “date poche regole chiare che voi stessi rispettate”. Allora, a parer mio, dobbiamo evitare chiusure ulteriori che peggiorerebbero tanti aspetti della vita, organizzando bene tutto quello che si può, con l’aiuto di tutti, attuando una sorta di “alleanza sul territorio” con le realtà associative, culturali, religiose, ricreative, sportive che possono dare un contributo, alimentando il tessuto connettivo del territorio in cui si vive. Le feste quindi, ora più che mai, vanno indirizzate verso qualcosa che ci invita all’empatia, alla solidarietà, all’umanità, ai buoni sentimenti in modo tale da opporsi alle dinamiche che possano far sentire questo Natale come una festa nel dolore e nelle difficoltà, nella preoccupazione. Bisogna combattere insieme, con la consapevolezza che il disagio – che ci sarà ed è innegabile – è comune a tutti, non tocca soltanto me o la mia famiglia; da qui può scaturire la capacità di reagire insieme, di aspettare insieme, di fortificarsi insieme, impegnandosi a comprendere tutta una serie di cambiamenti che questa pandemia ha slatentizzato non solo nelle famiglie ma anche nella società. Questo Natale sia per tutti quindi un’occasione per rinnovarsi, un invito a rinascere soprattutto nel comportamento umano.
Sono d’accordo. Il mio motto infatti è: dalle criticità nascono opportunità. Un po’ quello che ha detto prima. Quali sono dunque le opportunità che possiamo cogliere da questa criticità?
Confermo: da ogni crisi possono scaturire opportunità. Io personalmente nel periodo della chiusura totale ho rivisitato tanti aspetti della mia vita, ho preso coscienza di tante cose fatte o non fatte, di cose che mi sfuggivano o delle quali non mi ero accorta, ho considerato rapporti interpersonali. Questo mi ha dato la possibilità di fare una concreta analisi, apprezzando le persone che veramente posso considerare amiche, solidali, corrette; ho quindi potuto avere una visione completa delle persone che invece non lo sono perché non sono empatiche, non si mettono nei panni deli altri, di quelle persone che ci sono soltanto in un determinato e circoscritto momento, magari quando possono ricevere un beneficio, quando possono ricevere qualcosa, defilandosi al momento del dare. L’opportunità di questo periodo potrebbe essere quella del riuscire a fare una verifica di tempi, di modi, di rapporti con le persone, un’analisi importante di cui però dovremo ricordarci quando questa emergenza sarà finita, sconfitta da un vaccino che possa bloccarla. Se noi facciamo finta di niente voltando pagina automaticamente, perdiamo l’occasione di sfruttare una sosta “forzata” da impiegare utilmente nel riflettere su quello che abbiamo, su chi ci accompagna nella vita, su che cosa è davvero importante e che cosa veramente conta, definendo le priorità. A questo si aggiungono necessità fondamentali come non perdere il lavoro, cercare di non ammalarsi o potersi adeguatamente curare se ammalati, venendo accolti e soccorsi come si deve a ciascuna persona. Questa pandemia – meglio: la situazione sociale che ne viene fuori – ci dà l’occasione per riscoprire rapporti umani se positivi o chiuderli se nocivi; ci sono rapporti che si trascinano stancamente, romperli ma non conviene ma decidere che sono finiti è fondamentale.
Ho letto, tempo addietro; il suo libro “Maladolescenza. Quello che i figli non dicono. Sono passati diversi anni dalla sua pubblicazione; se dovesse ripubblicarlo cosa modificherebbe?
Partendo da quanto già espresso in questo libro, uscito nel 2014, direi che ancora resisterebbe la sintesi della cattiva educazione che abbiamo dato ai ragazzi. Dobbiamo sottolineare come anche in questa situazione non siano stati responsabilizzati perché è naturale per la loro età la voglia di uscire, di stare con i propri coetanei, di “evadere”… il rispetto delle regole fa parte di una buona educazione, di una buona adolescenza che deve essere curata. Le necessità degli adolescenti di essere autonomi, di staccarsi dalla propria casa, di uscire nel mondo, di trovare i primi amori sono in questo periodo negate, anzi: sono drammaticamente bloccate. Da questo momento sono da riscrivere e da ricodificare le reazioni degli adolescenti che vogliono acquisire la propria autonomia e invece non possono farlo, finendo costretti a fermarsi, a regredire e non crescere oppure a trasgredire quanto disposto perché anche la trasgressione fa parte delle dinamiche adolescenziali, ribellandosi agli adulti e negoziando con loro per ottenere cambiamenti ed emancipazione. Le limitazioni imposte dalle autorità in questo periodo impediscono certi aspetti della regolare evoluzione adolescenziale. Per evitare la “maladolescenza”, con tutte le sue note conseguenze dovute a una non buona educazione, credo che ci si debba confrontare con un discorso di disagio e dolore comune, come detto prima, una sorta di “mal comune, mezzo gaudio” che attenui la pena delle limitazioni, stimolando una solidarietà che favorisca l’amicizia, sentimento in cui gli adolescenti credono molto, incentivando legami complementari a quelli delle figure adulte di riferimento. In tal senso sta profondendo esemplare impegno la professoressa Anna Maria Giannini, psicologa coordinatrice e responsabile del Laboratorio di Psicologia applicata presso la “Sapienza”, Università di Roma. Per arginare la “maladolescenza” bisogna portare figure d’esempio, come possono esserlo gli eroi operatori sanitari o i ricercatori che stanno combattendo attivamente contro il Covid-19; bisogna inoltre rendere i giovani protagonisti veri, coinvolgendoli nella lotta contro qualcosa (il Covid-19) che fa male a loro e alle loro famiglie. Ciò avrebbe ricadute dal punto di vista economico, culturale, della fiducia nella legalità, nell’orientamento politico, della socializzazione limitata dalle misure di contenimento. Dobbiamo quindi essere in grado di fornire ai più giovani modelli di comportamento e buone pratiche facili da seguire, incanalando la loro voglia di libertà, di autonomia (anche a costo della salute), di fare scelte che potrebbero avere risvolti negativi. E qui si collega un altro discorso, riguardante atteggiamenti trasgressivi legati alle dipendenze o accompagnati da anoressia, bulimia, obesità, fenomeni su cui indagare non analizzabili compiutamente in questa sede. In questo momento quindi condurrei una lotta alla “maladolescenza” partendo dagli strumenti da fornire a chi educa, genitori e docenti anzitutto. A chi fa comunicazione, e quindi anche a Lei, Direttore, lancio l’appello di trasmettere messaggi positivi che facciano da argine a modelli negativi passati da serie televisive che esaltano la criminalità e i suoi nefasti protagonisti. Agli operatori della comunicazione chiedo di offrire questo importante servizio alle famiglie e agli adolescenti, un servizio pedagogico ed educativo di alta utilità sociale.
La sua attenzione alla pedagogia è “generosa” verso altre linee di ricerca. A cosa si sta dedicando in questo periodo?
Sto lavorando alla “vecchiaia adolescente”, svolgendo una ricerca che è partita in chiave autobiografica sulla condizione degli anziani e che sarà prossimamente pubblicata. Mi ha spinto su questa linea il fatto che il Covid-19 abbia fatto strage degli anziani, quindi non degli innocenti così come descritto nel percorso formidabile e drammatico di Gesù. Una strage di anziani che ci impegna a combattere con un’adolescenza di cuore. Io appartengo a una società che è degli anziani e credo che sia quindi necessario risvegliare in noi quella parte adolescenziale che cerca autonomia pur avendo esperienza, che cerca maestri e sa trovare soluzioni, che va verso il sociale. I vecchi adolescenti sono coloro che tra saggezza e capacità di negoziare, tra esperienze fatte e capacità di confronto possono affrontare questo momento; è quella generazione in cui sono nata io, quella nata nel dopoguerra fino al boom degli anni ’60. I vecchi adolescenti possono dare tanto, talmente bisognosi di energie e di cambiamenti di futuro che possono dare ai giovani l’energia per ricominciare e poi andare avanti.
Pierdamiano Mazza